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Pubblicazioni

L'ULTIMO MARINAIO DI CAPO HORN


Autore: Franco Cuomo
Editore: INEDITO
Dati libro:
Anno: 2007
Tipologia: Varie

ULTIMA RIEDIZIONE
Anno: 2007
Editore: INEDITO

Descrizione:

Quando morì l’ultimo marinaio di Capo Horn, ciascun confratello indossò qualcosa di blu, qualcosa di rosso, qualcosa di bianco per farsi riconoscere tra quanti erano appartenuti alla sua medesima catena del mare.

Erano in pochi. I velieri avevano smesso da tempo di doppiare il Capo, lasciando tonnellate di fasciame squarciato e vele lacere sugli scogli omicidi di quegli alti fondali. Li avevano sostituiti i vapori, che qualche problema lo avevano anche loro, come dimostrano i relitti anche metallici che giacciono in quegli abissi sinistri.

A suo figlio Glauco - che molto amava, e che molto lo amava – l’ultimo marinaio lasciò un segno inconfondibile dell’appartenenza a quella sorta di gentile filibusta ch’era la setta dei naviganti avvezzi alle grandi traversate. Un segno in qualche modo analogo a quello che si scambiano i massoni e i cavalieri delle società segrete per riconoscersi tra loro. Non la mano sul cuore, non il toccamento tradizionale dell’indice sul polso di chi tende la mano, ma qualcosa di più ermetico e universale: il passo vacillante ma orgoglioso del marinaio che ha camminato più lungamente sulle tolde squassate dall’onda che sulle sicure piastrelle dei marciapiedi cittadini.

La compagna di Glauco, che per una sorta d’indecifrabile destino si chiamava Sirena, amava quel suo passo ardito e arrogante, che denunciava un passato avventuroso. Temeva però che potesse talvolta preludere a una perdita d’equilibrio, a una distorsione improvvisa del piede, a una caduta indecorosa. E presto quest’apprensione si mutò nell’ansia che lui, così disabituato per tradizione alla terraferma, potesse scivolare o apparire semplicemente ubriaco, come solitamente sono i marinai in franchigia senza farsene tanti problemi.

Sirena temette il ridicolo e n’ebbe paura. Temette che quella sua nobile andatura vacillante potesse dare agli astanti sprovveduti una impressione di ubriachezza. Così, amorevolmente, cominciò a consigliarlo su come dovesse tenere il passo, badando a ogni sua singola movenza. Ti sei appoggiato al muro, gli diceva. Perché, non stai bene? Ti mancano le forze?

Si diede da fare per sostenerlo come fosse un invalido, ma lui non lo era. Camminava soltanto con amore, portando nel cuore il segno che gli aveva lasciato suo padre.

Cercò tuttavia di correggersi per evitare a Sirena un ingiustificato imbarazzo. Ripassò a mente l’andatura degli eroi di terra, così fermi e sicuri nel loro passo. Ripescò tra gli antichi film della sua giovinezza alcuni leggendari modelli, individuando infine tra centinaia di spezzoni le due più belle camminate di Hollywood, che erano quelle di Henry Fonda e Gary Cooper. Camminavano entrambi in posizione perennemente eretta, portando una gamba davanti l’altra senza nemmeno piegare il ginocchio. Era come se seguissero una retta dalla quale l’orma non dovesse distaccarsi mai più di un palmo.

Ma non erano marinai, erano uomini western. Imitarli richiedeva immedesimarsi nella imminenza di un duello a colpi d’arma da fuoco: il loro passo muoveva da un angolo della via centrale del villaggio, in prossimità del Saloon, per poi dirigersi verso un punto dove sagome non del tutto visibili tendevano agguati, puntando le proprie armi senz’attendere che Gary o Henri avessero messo mano alla fondina. Vincevano comunque loro, perché avevano l’occhio fisso e il passo fermo, e forse – ma chissà – non bevevano.

Glauco si esercitò. Provò a camminare in linea retta senza lasciar oscillare le ginocchia, ma, evitando così il ridicolo temuto da Sirena, si sentiva oltremodo ridicolo ogniqualvolta la sua immagine si rifletteva in una vetrina. E cominciò ad avere i primi veri fastidi alle ginocchia, perché così irrigidite gli davano l’impressione grottesca di camminare su due manici di scopa. Come una Mary Poppins appiedata, incapace di volare.

Ma Glauco amava Sirena, e avrebbe fatto per lei qualsiasi cosa. Tanto da smettere anche di bere, come fosse un aviatore invece che un vecchio marinaio. Rinunciava con questo a una prerogativa iniziatica della filibusta paterna, come il segno appunto del passo vacillante, che rendeva i marinai riconoscibili tra loro come massoni.

Migliorò? Peggiorò? Si avvicinò al modello sognato dalla sua Sirena o se ne allontanò per sempre?

Scivolò una sera, mentre uscivano insieme da un ristorante, spingendola violentemente da un lato fino a farla cadere. Lei si alzò severa, chiedendogli se avesse bevuto o stesse male. Ma lui era morto, perché per salvarle la vita si era buttato contro un’auto che stava per investirla, spingendola in salvo sul marciapiede.

C’erano tutti quei pochi marinai di Capo Horn ancora in vita – pochi, sempre meno – al funerale di Glauco. E ognuno indossava qualcosa di blu, qualcosa di bianco, qualcosa di rosso.

Avevano tutti sotto il braccio una copia di Corto Maltese.

Disse il prete, che aveva girato i sette mari e certo anche bevuto quella sera, nel benedire la salma che scivolava fuori bordo: “Dio aiuti i marinai in terra, e quelli per mare se la cavino da soli.”