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Pubblicazioni

L'ANIMA BUONA DI COTART (cronaca del secolo XV)


Autore: Franco Cuomo
Editore: INEDITO
Dati libro:
Anno: 2007
Tipologia: Varie
Descrizione:

L’ANIMA BUONA DI COTART

(Cronaca del secolo XV)

Jean Cotart, giurista e bevitore, noto a Parigi per la sua dottrina e per la sua dissolutezza, morì verso il millequattrocentosettanta, rientrando a casa, per essere inciampato e avere battuto la testa contro un banco del mercato. Fu criticato.

Nessun gentiluomo disse per lui una parola di compianto, ma tutti ostentarono anzi un certo disprezzo per quel vizio che l’aveva portato alla morte. A criticarne per primi le abitudini furono gli stessi notabili e avvocati che fino al giorno prima l’avevano adulato, lucrando sulle sue cause.

L’unico a prenderne le difese fu il poeta Francòis Villon, ladro e assassino, scampato alla forca per il (gratuito) patrocinio di Cotart. Ma la corte alla quale Villon rivolse la sua intercessione non era quella dei giudici ammuffiti di Parigi, che nulla potevano fare ormai per Jean Cotart. Si rivolse rispettosamente a Dio, tramite quello che gli parve l’intermediario più adatto, cioè Padre Noé che per primo aveva coltivato la vigna e si era ubriacato a tal punto da giacere – per uno di quegli inganni scherzosi dell’amore – con le sue stesse figlie.

“Discendeva dalla vostra stessa stirpe” esordì nel perorare la causa dell’amico. E inoltre “beveva il vino migliore, il più caro, anche quando le sue finanze non gliel’avrebbero permesso.”

E poi era il più fiero, il primo e più orgoglioso dei bevitori. Non celava il suo piacere ma l’ostentava. Superava tutti in questa sua libertà di mostrarsi felice, quando lo era. E della felicità recatagli dal vino buono non fu sazio mai.

“Per questo io vi prego, signori delle vigne, non scacciate dal cielo l’anima buona di Cotart.”

Accompagnava la richiesta un’accorata testimonianza: “Lo vidi spesso quando rincasava tremare e barcollare per la strada. Lo vidi sbattere una volta la testa contro un muro. Sanguinava, ma proseguì con passo sicuro la sua via. Non troverete al mondo un bevitore come lui, più forte, più coraggioso e determinato a ignorare i rischi del suo piacere.”

Sembrava a volte che la gola gli bruciava, e lo diceva: “La gola mi si secca.” E’ vero, concludeva Villon la sua arringa, non seppe mai calmare la sua sete, ma fece tutto ciò che doveva in vita con puntualità e precisione, accresciute da una ispirazione gentile, che soltanto il bere gli procurava. Vinceva tutte le cause, da ubriaco, umiliando la dottrina dei suoi sobri colleghi.

Sta per giungere a voi, concludeva Villon. “Tra poco busserà. Non respingetelo. Lasciate entrare l’anima buona di Cotart che fu.”

Non andò egualmente bene a Villon qualche anno dopo, processato per rapina insieme ad altri compagni di strada.

Pigramente difeso da un avvocato mediocre, che non aveva il cuore né la dottrina di Cotart, venne impiccato come s’usava a un quadrivio, insieme a cinque o sei degli altri.

Lasciato per giorni alla voracità dei corvi e alle intemperie, danzò lungamente nel vento, finchè non ne rimase qualche lembo di carne essiccata sullo scheletro risciacquato dalla pioggia. Bastò qualche giorno di sole per imbiancare quei resti, che dal cavo delle ossa emettevano le note malinconiche di una ballata senza tempo.

Ma François era ormai lontano, a quel punto, dalle cose terrene, a bere vino nelle bigne celesti con l’anima buona di Cotart, che certamente l’aveva aspettato.